COVID-19: l’impatto psicologico sulle famiglie del personale sanitario

Covid-19: l’impatto psicologico sulle famiglie del personale sanitario

Questo articolo si occupa di valutare l’impatto psicologico dell’epidemia di Covid-19 sulle famiglie del personale sanitario.

In questo delicato momento storico i nostri occhi sono puntati sulle notizie in primo piano: i numeri di contagi e morti, i decreti legge, la conta dei giorni di reclusione. 

Nel marasma di emozioni è facile ignorare alcuni aspetti ugualmente importanti, come i risvolti psicologici che questa situazione sta procurando.

Per questo oggi vogliamo parlare dell’impatto psicologico dell’epidemia di COVID-19, con un particolare riguardo agli operatori sanitari. Questo fenomeno è stato già studiato in particolare tra i familiari degli operatori sanitari che hanno combattuto in prima linea l’emergenza in Cina, nella città di Ningbo.

 

Iniziamo con una premessa

In passato prove convincenti hanno suggerito che le pandemie causate da malattie infettive, tra cui la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la nuova influenza A del 2009 (H1N1), sono associate a problemi di salute mentale tra la popolazione generale, i lavoratori del settore sanitario, i pazienti e i familiari dei pazienti.

La situazione attuale, che vede coinvolto il coronavirus responsabile dell’insorgenza della malattia COVID-19, sta causando a sua volta non pochi problemi di salute mentale negli operatori sanitari: le evidenze ad oggi registrate comprendono stress, ansia e sintomi depressivi.

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Uno dei motivi più rilevanti consta nella mancanza di contatto con i familiari da parte di molti di questi lavoratori, che hanno inoltre riferito di temere sia di essere contagiati a loro volta, sia di trasmettere il virus ai propri cari e provocarne la morte. 

Sulla base di questo, si è ipotizzato che in questo momento anche le famiglie degli operatori sanitari direttamente a contatto con pazienti affetti da COVID-19 possano soffrire di problemi psicologici simili a quelli degli operatori sanitari. Nelle linee guida della National Health Commission per l’intervento in caso di crisi psicologica di emergenza per le persone colpite da COVID-19, le famiglie di operatori sanitari sono considerate come il terzo gruppo prioritario da monitorare.

Ed è proprio per questo motivo che è stato condotto lo studio di cui vi parliamo oggi, volto ad analizzare e comprendere la salute psicologica di questi individui.

 

Com’è stato condotto il test

Un totale di 822 partecipanti ha completato correttamente i test, sotto forma di questionari forniti dai ricercatori, appositamente creati per monitorare gli stati di stress, ansia e depressione. Sono stati presi in considerazione i familiari di operatori sanitari operanti in cinque ospedali designati per far fronte all’emergenza in atto.

Le risposte, raccolte durante la fase crescente dell’epidemia, sono state drammatiche e forniscono validi motivi per prestare maggiore attenzione allo stato di salute mentale di questa parte della popolazione, vulnerabile ma spesso invisibile.

 

I risultati

I sintomi da disturbo d’ansia generalizzato (GAD) sono stati identificati nel 34% dei soggetti che hanno risposto al test, mentre il 29% mostrava chiari sintomi depressivi. 

Interessante notare che lo stesso test sia stato sottoposto, in precedenza, sia al personale medico sia al personale sanitario, ottenendo risultati peculiari: sembra che i primi soffrano maggiormente, rispetto ai propri cari, di questi sintomi; gli operatori sanitari ne risentirebbero invece meno.

Scendendo nei particolari relativi ai familiari di queste figure professionali, è stata rilevata una grossa influenza, nella presenza sia di disturbo d’ansia sia di sintomi depressivi, dal tempo libero a disposizione durante la giornata. Più si ha tempo di pensare alla situazione di emergenza, più si è soggetti a questo rischio.

Inoltre, i sintomi depressivi di questi soggetti sono più frequenti all’aumentare delle ore di lavoro a cui sono sottoposti gli operatori sanitari che sono a contatto con pazienti COVID-19, per via della percezione di un maggiore pericolo di trasmissione.

Altro fattore di rischio è costituito dal contatto diretto degli operatori sanitari con i pazienti infetti, che influisce negativamente sulla salute mentale dei loro cari.

 

Fattori che diminuiscono il rischio di sviluppare ansia e depressione

Ci sono però alcuni fattori che diminuiscono il rischio di sviluppare sintomi depressivi e disturbo d’ansia. 

Si rileva infatti che il personale sanitario in possesso di un maggior numero di dispositivi di sicurezza ha minore probabilità di sviluppare sintomi depressivi o di ansia, perché meno preoccupato per la propria salute e per quella dei propri cari. Si denota che anche i loro familiari reagiscono allo stesso modo.

 

Correlazione tra mansioni lavorative e minore ansia/depressione

Altri dati interessanti riguardano le mansioni lavorative dei partecipanti al test.

Rispetto agli operatori sanitari, i partecipanti al test che svolgono la professione di lavoratori aziendali non sanitari avevano maggiori probabilità di sviluppare sintomi depressivi. 

Le motivazioni possono essere molte, tra queste troviamo che:

  • la maggior parte dei lavoratori aziendali non ha un background medico e quindi manca di sufficiente capacità cognitiva per aumentare la consapevolezza riguardo all’epidemia di COVID-19, sviluppando quindi sintomi depressivi o disturbi d’ansia;
  • la loro resistenza psicologica è messa a dura prova durante situazioni estreme come, di fatto, le pandemie;
  • molte imprese sono state costrette a chiudere durante l’epidemia in Cina, con conseguente perdita di reddito per i propri dipendenti.

Diversamente, i dipendenti governativi o impiegati nelle istituzioni si sono dimostrati meno soggetti a questi sintomi. Forse, si legge, perché hanno maggior accesso ad informazioni attendibili e sono più distanti da soggetti ritenuti a rischio infezione.

 

Med4Care Marco De Nardin

Dott. Marco De Nardin

 

Per approfondire:

 

Bibliografia: