Gli stati e la salute: visioni a confronto

La pandemia da Coronavirus sta raggiungendo tutti gli stati. Ciascuno è costretto ad interrogarsi su quali misure vorrà adottare nei confronti dell’epidemia.

Le varie nazioni non sono concordi sulle misure da adottare. C’è chi è più preoccupato della salute dei cittadini, chi invece privilegia la salute dell’economia, chi cerca di salvaguardare entrambe.

Ciascuna nazione, in base alla sua storia e alle sue scelte tradizionali, applica criteri diversi al problema: suggerisce quindi soluzioni diverse, in linea con la propria visione del mondo, della salute e dell’economia.

L’impostazione stessa del sistema sanitario dei vari stati sovrani è espressione di queste scelte di base.

 

La posizione dell’Italia

L’Italia è da sempre uno stato molto attento alla prevenzione e alla salute dei propri cittadini.

Il nostro paese all’inizio dell’epidemia ha cercato di contenerla con l’isolamento dei singoli contagiati. L’intendimento era di riuscire a salvaguardare l’economia, cercando di mantenere la vita sociale ed il lavoro della maggioranza degli individui ed isolando soltanto quelli infetti.

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Tuttavia l’infezione si è rivelata ormai troppo diffusa per poter sperare di isolare ogni singolo caso e ogni contatto relativo ad ogni singolo caso. Questo tipo di misura è presto naufragata e si è iniziato ad interrogarsi su quali altre misure di restrizione degli spostamenti adottare che non gravassero eccessivamente sull’economia del paese.

Quando però è apparso chiaro che solo la riduzione dei contagi era l’unica soluzione percorribile, l’Italia ha iniziato ad adottare delle misure di contenimento e di restrizione degli spostamenti individuali e collettivi progressivamente subentranti. È perciò toccato alle scuole in primis a fermarsi, seguite dalle attività sportive. Solo in un secondo momento sono stati limitati gli spostamenti delle persone e le attività lavorative, anteponendo sempre e comunque la salute dei cittadini come diritto inalienabile, sancito dalla Costituzione, ai rischi economici.

 

 

Non è cosi per altri stati, in particolare Regno Unito e Stati Uniti, dove la salute dei cittadini non è un bene primario e dove il sistema sanitario è prevalentemente privato e non pubblico.

 

Le altre nazioni europee

Le altre nazioni europee seguono l’Italia con colpevole ritardo. Quando è parso chiaro a tutti che l’infezione si sarebbe diffusa, anch’esse hanno sperato, nell’inerzia, che non capitasse anche a loro.

L’orientamento generale sembra comunque tracciato: mentre Francia e Germania hanno iniziato in modo graduale chiudendo a macchia l’olio le scuole delle regioni più colpite, la Spagna è già in serrata totale a partire da oggi 14 marzo.

 

Per quanto in ritardo e in modo macchinoso, anche gli altri stati d’Europa si avviano sulle orme dell’Italia, in una visione condivisa della salute come bene primario da tutelare.

 

La posizione del Regno Unito

Il leader Boris Johnson ha invece stupito tutti con una voce fuori dal coro, ponendo l’accento sull’intenzione del Regno Unito di non adottare misure restrittive eccessive per evitare di compromettere la salute dell’economia britannica. In una prima dichiarazione, ieri, 13 marzo, ha affermato che “molte famiglie perderanno i loro cari“. Oggi, 14 marzo, ha corretto leggermente il tiro, sostenendo che  “Il nostro obiettivo è ridurre il picco dell’epidemia così che il Servizio sanitario nazionale sarà in una condizione più forte, quando le condizioni climatiche miglioreranno”.

Al di là delle affermazioni, quello che conta è che, nonostante l’emergenza sanitaria dichiarata, alle porte, tutte le scuole e le attività produttive rimarranno aperte. Le persone con sintomi sono invitate a rimanere a casa in quarantena per una settimana.

Dalle dichiarazioni, atteggiamenti e misure traspare la verità: quella di un sistema sanitario nazionale, che, al contrario di quello italiano, non è in grado nemmeno di rispondere ad un’emergenza. Nel Regno Unito c’è la minore quantità di medici e di infermieri pro-capite rispetto agli altri paesi europei, a testimonianza di un sistema sanitario nazionale non all’altezza dell’economia della nazione.

 

La posizione degli Stati Uniti

Molto peggio dei cugini britannici se la passano gli statunitensi: qui il sistema sanitario è unicamente privato e per questo non ci sono adeguati sistemi di prevenzione. I tamponi non possono essere svolti a tappeto perché sono molto costosi, fino a 3000 dollari l’uno. Per questo nelle prime fasi dell’espansione del contagio non sono state adottate serie misure di contenimento, perché non vi è prevenzione adeguata. 

Dopo le prime centinaia di casi il Presidente americano ha decisamente virato la posizione, sospendendo i voli dall’Europa e predisponendo tutta una serie di coperture finanziarie che dovrebbero consentire di prepararsi all’emergenza. È un fatto, tuttavia, che il sistema non sia pronto ad un’emergenza sanitaria e non sia nemmeno in grado di correggere il tiro con rapidità. 

 

Conclusioni

È nel momento di un’emergenza sanitaria che emergono le visioni degli stati nei confronti della salute.

Da un lato della bilancia gli stati dove la salute è un bene primario, pronti a massicce restrizioni pur di tutelare il diritto alla salute. Dall’altro lato gli stati con dei sistemi sanitari più deboli, non efficaci o di alta efficienza solo per pochi, più volti all’economia e al profitto che alla salute dei propri cittadini.

È nelle condizioni in cui un sistema viene sottoposto ad uno stress importante che manifesta tutti i suoi limiti.

 

Med4Care Marco De Nardin

Dott. Marco De Nardin