Obesità e sepsi, setticemia

L’obesità rappresenta un fattore paradossalmente protettivo in caso di sepsi?

Indice

Questo studio sembrerebbe aver messo in luce come l’obesità possa costituire un fattore di protezione nei confronti degli esiti della sepsi.

Legame tra obesità e sepsi

La sepsi, o setticemia, consiste in una grave sindrome acuta che interessa l’organismo, scatenata da una risposta infiammatoria sistemica abnorme diretta contro un’infezione.

Tale condizione, potenzialmente fatale se non trattata in maniera tempestiva, deriva da una sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) dell’organismo, che si sviluppa a causa di un’infezione e può evolversi fino alla sepsi grave e allo shock settico. Quest’ultima condizione è gravissima in quanto si assiste a un’ipotensione molto marcata del paziente, la quale non si ripristina neanche a seguito di adeguata somministrazione di fluidi.

La sepsi origina da un’iniziale invasione microbica cui fa seguito l’attivazione di una risposta immunitaria che si auto-perpetua, amplificandosi a dismisura e inducendo la morte cellulare per necrosi non solo dei batteri patogeni, ma anche dei tessuti dell’organismo.

Approfondimento: Setticemia o sepsi, quando l’infezione arriva al sangue

La setticemia, nota anche come sepsi, è una grave condizione medica causata dalla diffusione di batteri o altri agenti patogeni nel flusso sanguigno, a seguito di un’infezione iniziale in qualsiasi parte del corpo.

Può provocare danni agli organi vitali ed essere fatale se non viene diagnosticata e trattata rapidamente; è infatti considerata una delle principali cause di mortalità ospedaliera.

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Attualmente la sepsi rappresenta la prima condizione di morte nei reparti di terapia intensiva non coronarica, provocando il decesso di 1 paziente ogni 3 interessati dalla condizione. Per rendersi conto della gravità di questa sindrome infiammatoria sistemica basti pensare che prima del 2000 essa determinava la morte di metà dei pazienti in stato di sepsi grave.

Alcuni studi effettuati in Asia sembrano indicare come, paradossalmente, l’obesità possa rappresentare un fattore di protezione nei confronti di alcune patologie, tra cui la stessa sepsi.

Infatti l’obesità, definita tale con il BMI del paziente che supera la soglia di 30 kg/m², pare che possa garantire al soggetto in stato settico un miglior vantaggio in termini di riserva nutrizionale, garantendogli in ultima analisi una maggiore sopravvivenza. Tuttavia le ricerche su questo campo sono in corso di approfondimento.

Caratteristiche dello studio

  • Tipo di studio: Studio osservazionale prospettico.
  • Luogo: Corea del Sud.
  • Tipo di pazienti: Soggetti con diagnosi di sepsi, con dati di altezza e peso registrati nella cartella clinica.

Scopo dello studio: i pazienti con obesità hanno maggiore probabilità di sopravvivere durante una sepsi rispetto ai pazienti con BMI basso o normale?

Gli autori di questa interessante indagine osservazionale hanno provato a comprendere se l’obesità possa costituire un fattore paradossalmente protettivo nei confronti degli esiti della sepsi, analizzando i dati relativi alla sopravvivenza dei vari pazienti interessati.

Progettazione

Il presente studio osservazionale ha selezionato circa 6500 pazienti adulti, ricoverati in varie strutture sanitarie del Sud Corea con la diagnosi di sepsi, sepsi grave o shock settico, sulla base di un punteggio post-infezione SOFA¹ maggiore o uguale a 2.

Tutti i partecipanti sono dunque stati suddivisi in due gruppi in funzione del proprio BMI, considerato che per ogni paziente incluso nello studio erano disponibili sia l’altezza che il peso al momento del ricovero.

In base al BMI, il 20% dei partecipanti è stato classificato come sovrappeso (BMI > 25 kg/m²) e il restante 80% come normopeso (BMI < 24,9 kg/m²) e, successivamente, è stato calcolato un punteggio di propensione all’obesità per ogni singolo paziente.

Risultati

Tutti i partecipanti hanno ricevuto un esame del proprio stato funzionale ricorrendo alla Clinical Frailty Score (CFS)², sia prima del ricovero che al momento della dimissione.

Dopo aver determinato un punteggio di propensione all’obesità per ogni singolo paziente, sono emerse le seguenti considerazioni:

  • Il gruppo di pazienti non obesi ha sviluppato un rischio di mortalità ospedaliera circa 1.5 volte più alto rispetto al gruppo dei pazienti obesi.
  • Il gruppo dei pazienti obesi ha registrato una percentuale di dimissioni ospedaliere leggermente più alta dei non obesi e, inoltre, un tasso di fragilità clinica alla dimissione più basso.

Conclusioni

Questo studio osservazionale prospettico ha messo in luce come l’obesità costituisca un fattore di protezione nei confronti degli esiti della sepsi e questo risultato, apparentemente paradossale, si è registrato tra i pazienti asiatici in forte sovrappeso.

Pare infatti che un alto BMI, accompagnato da un eccesso di grasso corporeo e da una ridotta massa muscolare, possa prevenire l’atrofia muscolare conseguente alla sepsi e che il tessuto adiposo in esubero possa fungere da stazione di riserva energetica nel medio termine.

Bibliografia: fonti e note

ARTICOLO ORIGINALE: Yeo HJ, Kim TH,  Jang JH et al. Obesity Paradox and Functional Outcomes in Sepsis: A Multicenter Prospective Study. Critical Care Medicine 51(6):p 742-752, June 2023.

[1] Bullock B, Benham MD. Bacterial Sepsis [Aggiornato il 21 Maggio 2023]. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2023.

Nota 1. Il punteggio SOFA (Sequential Organ Failure Assessment) è uno strumento utilizzato per valutare e monitorare la gravità dell’insufficienza d’organo in pazienti con sepsi. Questo score viene utilizzato per valutare l’insufficienza di sei distretti principali: respiratorio, renale, epatico, cardiovascolare, ematologico e neurologico. Il punteggio misura le condizioni fisiologiche del paziente su una scala da 0 a 4 per ciascun organo, in base a parametri specifici come la pressione arteriosa e la frequenza respiratoria. I punteggi dei singoli organi vengono sommati per ottenere un punteggio complessivo SOFA, che varia da 0 a 24. Un punteggio più alto indica una maggiore gravità dell’insufficienza d’organo e una prognosi peggiore.

Nota 2. Il Clinical Frailty Score (CFS) è uno strumento utilizzato per valutare la fragilità di un individuo. Il punteggio CFS assegna un valore numerico che varia da 1 a 9 o da 1 a 7, a seconda della scala utilizzata. Ogni valore corrisponde a una descrizione specifica del livello di fragilità e delle capacità funzionali del paziente. Ad esempio il punteggio più basso (1 o 1-2) indica una persona forte e indipendente, mentre il punteggio più alto (9 o 6-7) indica una persona molto fragile e dipendente per le attività quotidiane.