CBD e demenza senile, trattamento delle malattie neurodegenerative con cannabidiolo

Il CBD e gli altri cannabinoidi rappresentano il futuro per il trattamento della demenza senile?

Indice

Numerosi studi hanno recentemente dimostrato l’efficacia del cannabidiolo (CBD) nel trattamento della demenza senile e delle malattie neurodegenerative quali Alzheimer e Parkinson. Le sue numerose proprietà lo rendono un efficace neuroprotettore e un potenziale mezzo terapeutico per la gestione delle patologie che danneggiano il sistema nervoso.

In questo articolo verranno discussi i benefici del CBD e le sue possibili applicazioni in ambito medico, riportando gli studi che ne supportano l’utilizzo.

Il CBD, il THC e il sistema endocannabinoide

Il CBD, o cannabidiolo, è una molecola fitocannabinoide estratta dalla pianta della Cannabis sativa. Svolge un ruolo cruciale nell’organismo umano, attraverso l’interazione con il sistema endocannabinoide.

Quest’ultimo è composto da due recettori principali, CB1 e CB2, attraverso cui è in grado di riconoscere e legare sia le sostanze cannabinoidi prodotte naturalmente nell’organismo (endocannabinoidi) sia quelle provenienti dall’esterno, come i fitocannabinoidi estratti dalla Cannabis.

Insieme al THC, il CBD è uno dei fitocannabinoidi più noti e modula diverse attività fisiologiche all’interno del corpo umano.

Approfondimento: CBD o Cannabidiolo, che cos’è e quali sono i suoi effetti terapeutici

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Il CBD (cannabidiolo) è una delle diverse molecole contenute all’interno della pianta della Cannabis, e pertanto note come fitocannabinoidi.

La sostanza probabilmente più conosciuta facente parte dei fitocannabinoidi è il THC (tetraidrocannabinolo), il quale interagisce con il sistema cannabinoide ed esercita un ruolo psicoattivo.

Il CBD interagisce, oltre che con l’ECS, con molti target molecolari presenti nell’organismo e, a differenza del THC, non sortisce effetti psicoattivi.

Proprietà dei fitocannabinoidi

Il CBD è stato associato a diverse applicazioni terapeutiche, tra cui il controllo del dolore, l’attenuazione dell’infiammazione e il trattamento di alcuni tipi di epilessia, nonché nel supporto per l’ansia e i disturbi del sonno.

Anche il THC ha alcune proprietà terapeutiche, ma il suo uso può essere limitato a causa degli effetti psicoattivi diretti. A differenza del THC, il CBD non causa alterazioni psico-fisiche nelle persone.

Studi recenti hanno evidenziato anche il coinvolgimento del cannabidiolo nei meccanismi di apoptosi cellulare, suggerendo un possibile utilizzo nelle cellule tumorali in fase di proliferazione.

In alcuni casi, il CBD è stato autorizzato come farmaco per trattare specifiche patologie, mentre in altri viene utilizzato “off-label“.

Tuttavia le recenti scoperte scientifiche suggeriscono che potrebbe assumere un ruolo terapeutico importante nel trattamento di diverse patologie, soprattutto quelle neurodegenerative. [1]

Gli effetti avversi delle terapie farmacologiche croniche negli anziani con deficit cognitivi

L’avanzare inesorabile dell’età espone notevolmente i pazienti anziani a un aumento del rischio di manifestare deficit cognitivi di diverso tipo e cambiamenti importanti nel tono dell’umore.

Alcuni dei farmaci più comunemente prescritti agli anziani con tali disturbi sono gli antipsicotici, eventualmente associati agli antidepressivi qualora la depressione maggiore si sovrapponga alla demenza.

Effetti avversi dei farmaci dell'età senile

I farmaci antipsicotici inducono diversi effetti avversi negli anziani, tra cui lo sviluppo di discinesie e della sindrome metabolica.

Allo stesso modo, gli antidepressivi e le benzodiazepine possono causare delle cadute importanti, le quali spesso comportano fratture patologiche negli anziani, in ossa già intaccate da processi di osteoporosi primitiva.

Un’altra caratteristica che accomuna i pazienti anziani è spesso quella di essere interessati da dolore cronico, che può originarsi in seguito a neoplasie maligne, artrosi e stati infiammatori persistenti.

In quest’ultimo caso, i farmaci oppioidi, assunti per il controllo del dolore, possono palesare effetti collaterali come stipsi e aumento del rischio di cadute.

Per tale ragione, si sta tentando di stabilire se i farmaci fitocannabinoidi possano in qualche modo rallentare i processi neurodegenerativi tipici dell’età senile e, allo stesso tempo, non causare effetti collaterali così corposi come quelli appena passati in rassegna. [2],[3]

CBD e demenza senile: i cannabinoidi possono essere utili nella tarda età?

Le recenti scoperte biochimiche e recettoriali sull’interazione dei cannabinoidi con i tessuti dell’organismo umano sembrano indicare che essi potrebbero rivelarsi promettenti nel trattamento di molte affezioni tipiche dell’anziano.

Poiché nell’età senile compaiono spesso processi patologici che comportano stati dolorosi e infiammatori cronici, la modulazione biologica del dolore e dell’infiammazione da parte dei fitocannabinoidi potrebbe essere sfruttata in tal senso.

Vari studi hanno messo in luce come le somministrazioni controllate di queste sostanze possano giovare alla salute dell’anziano, permettendo un’attenuazione dei sintomi ansiosi e un riposo più sereno, oltre che una modulazione del dolore provato.

Tuttavia, a causa dell’estrazione dei fitocannabinoidi dalla pianta della Cannabis, permane un certo stigma sociale e non tutti si mostrano favorevoli all’utilizzo per fini terapeutici. [3],[4]

Approfondimento: Il ruolo del CBD nel trattamento delle malattie neurodegenerative

Le malattie neurodegenerative principali, ovvero la Malattia di Alzheimer e la Malattia di Parkinson, condividono dei percorsi patogenetici comuni, nei quali depositi anomali di proteine si accumulano a livello intraneuronale ed extraneuronale, determinandone una disfunzione progressiva.

Questo articolo propone uno studio riguardante l’utilizzo del cannabidiolo – o CBD – nella cura delle malattie neurodegenerative.

Verranno in particolare discussi i benefici in patologie quali le malattie di Parkinson e di Alzheimer, in cui il CBD sembrerebbe apportare un contributo significativo in termini di neuroprotezione.

Il ruolo del CBD all'interno del sistema endocannabinoide cerebrale

Il sistema endocannabinoide è largamente rappresentato all’interno del tessuto cerebrale e, mediante i recettori CB1 e CB2, lega principalmente i due cannabinoidi endogeni anandamide (AEA) e 2-arachidonoilglicerolo (2-AG).

Tra i fitocannabinoidi, il CBD sembra assumere particolare importanza, in quanto, interagendo con il recettore GPR55 e con il PPAR-Ɣ, è in grado di esercitare effetti antinfiammatori e antiossidanti nel parenchima cerebrale.

Il CBD agisce come modulatore allosterico negativo nei confronti dei due recettori endocannabinoidi CB1 e CB2, mentre il THC sembra esserne un agonista parziale e questa caratteristica può essere sicuramente sfruttata a livello terapeutico. [3]

Effetti terapeutici del CBD nella demenza senile e nelle malattie neurodegenerative

Poiché la patogenesi di diverse patologie neurodegenerative, e in particolar modo della Malattia di Alzheimer, prevede la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), l’azione antiossidante dei cannabinoidi potrebbe essere adoperata a fini terapeutici.

Approfondimento: CBD e Alzheimer

L’utilizzo del cannabidiolo (CBD) ha recentemente suscitato un certo interesse nella comunità scientifica per il suo potenziale terapeutico nelle patologie neurodegenerative, tra cui la malattia di Alzheimer.

Attualmente non esiste una cura definitiva per l’Alzheimer e i trattamenti disponibili sono mirati a gestire i sintomi e rallentarne la progressione.

In questo articolo verranno approfondite le proprietà e i meccanismi d’azione del CBD, discutendo delle evidenze cliniche e precliniche riguardanti i benefici di questa sostanza per i pazienti affetti da Alzheimer.

Infatti sia il CBD che il THC posseggono un certo grado di affinità per il PPAR-Ɣ e, grazie all’attivazione della via Wnt/β-catenina, riescono a ridurre la concentrazione delle ROS e a stimolare i processi di neurogenesi a livello dell’ippocampo.In un’altra malattia neurodegenerativa importante, come la Malattia di Parkinson, il CBD si è invece dimostrato in grado di attenuare la concentrazione dei principali marker di flogosi e di inibire l’apoptosi delle cellule cerebrali, esitando anche in un miglioramento delle discinesie.

Approfondimento: CBD e Parkinson

Il cannabidiolo (CBD) è un composto derivato dalla pianta della Cannabis Sativa che ha suscitato un crescente interesse nella comunità medica per il suo potenziale nel trattamento delle malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Parkinson. A differenza del THC, che anch’esso deriva dalla Cannabis, il CBD non ha un diretto effetto psicoattivo.

Nell’articolo seguente esploreremo in modo approfondito le proprietà e i meccanismi d’azione del CBD, analizzeremo le evidenze precliniche e cliniche fino ad oggi raccolte e discuteremo delle considerazioni pratiche per l’uso di questa sostanza nei pazienti con Parkinson.

Sfruttando dunque il peculiare meccanismo multi-target del CBD, potrebbe essere possibile agire a più livelli per frenare alla base gli eventi che portano alla neurodegenerazione e allo stress ossidativo cerebrale. [3],[4]

Come gestire la somministrazione di CBD nei pazienti con demenza senile?

Attualmente, se non in condizioni di sindromi epilettiche gravi, il trattamento a base di fitocannabinoidi non costituisce ancora una terapia di prima linea.

Tuttavia, soprattutto negli Stati Uniti, la somministrazione di principi attivi estratti dalla Cannabis, e in particolare del cannabidiolo, viene effettuata di frequente in affiancamento a terapie maggiormente consolidate.

Spesso il solo CBD o miscele di CBD e THC sono prescritte in pazienti anziani affetti da dolore cronico di origine neoplastica o infiammatoria, oppure per attenuare l’ansia e i disturbi dell’umore.

Attualmente mancano degli studi scientifici eseguiti su coorti ampie che verifichino i margini di sicurezza e di tollerabilità dei fitocannabinoidi sugli anziani, per i quali le variabili farmacocinetiche e farmacodinamiche risultano ancora più sfuggenti rispetto a un paziente giovane.

Seguendo le regole di una buona pratica medica, dovrebbe dunque essere necessario somministrare ai pazienti anziani i cannabinoidi partendo da concentrazioni basse e crescenti del farmaco, fino a raggiungere una soglia massima di 40 mg/giorno di cannabidiolo.

Rispetto al CBD, il THC sembra sortire effetti avversi con una frequenza maggiore, tra cui sedazione, nausea e affaticamento. [3]

CBD e demenza senile: punti fondamentali

Le terapie farmacologiche a base di fitocannabinoidi, e in particolar modo del CBD, potrebbero rivelarsi promettenti nel trattamento delle malattie neurodegenerative e della demenza senile.

Attualmente, poiché mancano studi di ampia portata scientificamente validati, le terapie di questo tipo si mettono in atto come procedure alternative o di affiancamento a quelle di prima linea, specie nel controllo del dolore cronico o dei disturbi ansiosi.

Il principio generale della medicina geriatrica suggerisce che, per sfruttare appieno il potere antinfiammatorio e antiossidante del CBD in totale sicurezza, si dovrebbe sempre partire da regimi di titolazione bassa e crescente del farmaco, al fine di prevenire e controllare per tempo eventuali effetti collaterali.

Bibliografia: fonti e note

[1] Clementi F, Fumagalli G, Chiamulera C. Farmacologia Generale E Molecolare: Il meccanismo d’azione dei farmaci. Milano: Edra; 2018.

[2] Buckley JS, Salpeter SR. A Risk-Benefit Assessment of Dementia Medications: Systematic Review of the Evidence. Drugs Aging. 2015 Jun;32(6):453-67.

[3] Costa AC, Joaquim HPG, Pedrazzi JFC et al. Cannabinoids in Late Life Parkinson’s Disease and Dementia: Biological Pathways and Clinical Challenges. Brain Sciences 2022 Nov 22;12(12):1596.

[4] Stella F, Valiengo LCL, de Paula VJR. Medical Cannabinoids for Treatment of Neuropsychiatric Symptoms in Dementia: A Systematic Review. Trends Psychiatry Psychother.43, 243–255. 2021.