Covid e trombosi

COVID-19 e malattie trombotiche: c’è un’associazione?

Covid-19 e principali malattie trombotiche arteriose e venose: esiste un’associazione tra loro?

 

L’infezione da SARS-CoV-2 induce uno stato pro-trombotico e pro-infiammatorio come rilevato da Loo, Splitte e Newnham nel loro studio “COVID-19, immunothrombosis and venous thromboembolism: biological mechanisms” [1].

Lo stato pro-trombotico e pro-infiammatorio è correlabile all’insorgenza di gravi disturbi trombotici: sono numerosi gli studi [2] che hanno suggerito correlazioni con infarto del miocardio, ictus ed eventi tromboembolici venosi, ma sono ancora pochi quelli che si sono occupati dei rischi vascolari a lungo termine dopo diagnosi di COVID-19.

 

Scopo dello studio: c’è correlazione tra diagnosi COVID-19 e aumento di eventi trombotici?

Per questo motivo in Inghilterra e Galles è stato condotto uno studio di coorte sulle cartelle cliniche elettroniche [3] di 48 milioni di persone per confrontare l’incidenza di trombosi arteriose e venose in soggetti con e senza diagnosi di COVID-19.

Questo confronto può infatti confermare un’eventuale correlazione tra l’aumento di tali eventi e la diagnosi di COVID-19, e come questa incidenza tenda a variare nel tempo.

 

Caratteristiche e metodi d’indagine dello studio

I dati utilizzati per lo studio sono stati estrapolati da cartelle elettroniche; per le specifiche, vedi nota (1).

Le analisi statistiche [13] hanno valutato il rapporto di rischio [14] tramite il confronto tra l’incidenza di eventi vascolari (trombosi arteriosa, TEV e altri) in soggetti con diagnosi di COVID-19 e non ed è stato fatto uso della meta-analisi per combinare i dati delle popolazioni inglese e gallese.

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Risultati dello studio e discussione

Nell’intera popolazione usata come campione l’eccesso assoluto di rischio di tromboembolismo arterioso è stato dello 0,5% mentre l’eccesso di rischio di tromboembolismo venoso è stato dello 0,25% nell’arco di tempo considerato, cioè fino a 4 anni dopo l’insorgenza del COVID-19.

Esso era generalmente maggiore negli uomini rispetto alle donne e, come prevedibile, negli anziani e nei pazienti ospedalizzati.

Oltre a rilevare un’incidenza più alta di trombosi arteriosa nelle prime settimane dopo la diagnosi di COVID-19, si è notato che tale incidenza diminuisce rapidamente col passare del tempo.  L’incidenza di trombosi venose nelle prime settimane dopo la diagnosi di COVID-19 è sembrata invece diminuire meno rapidamente rispetto alle trombosi arteriose.

In generale gli aumenti relativi di questi eventi risultavano maggiori subito dopo l’infezione per poi rientrare piuttosto rapidamente nel valore basale, sebbene l’incidenza più alta di TEV sembrasse persistere più a lungo.

Sommariamente gli autori stimano che dal gennaio a dicembre 2020, il COVID-19 abbia portato a 10.500 trombosi arteriose e venose in più in Inghilterra e Galles.

 

Conclusioni: il COVID-19 aumenta il rischio di trombosi arteriose e venose?

Dallo studio si evince un aumento del rischio di trombosi arteriose e venose in seguito ad infezione da COVID-19.

Tuttavia lo studio presenta diversi limiti, in particolare relativi all’incertezza sulla registrazione di eventi vascolari in pazienti ospiti in case di cura, l’evitamento delle strutture sanitarie da parte di molte persone che hanno manifestato eventi vascolari minori a causa del timore del contagio in ospedale e una sottostima dell’infezione da COVID-19 prima che i test per SARS-CoV-2 diventassero ampiamente disponibili per infezioni lievi o asintomatiche.

Ad ogni modo questo studio induce ad ipotizzare l’elaborazione di strategie di prevenzione di eventi vascolari nei pazienti con COVID-19, ad una migliore gestione dei fattori di rischio così come ad una valutazione di terapie preventive nei casi opportuni.

 

Med4Care Marco De Nardin

Dott. Marco De Nardin

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Note

  • (1) I dati [4] utilizzati nello studio sono stati estrapolati dal Digital Trusted Research Environment del National Health Service per l’Inghilterra [5] e dalla SAIL Databank della Swansea University per il Galles. Le fonti includono dati registrati dai medici di base, ricoveri ospedalieri, pronto soccorso e visite ambulatoriali dal 1° gennaio al 7 dicembre 2020 [6].La diagnosi di COVID-19 è stata definita sia come positività alla reazione a catena della polimerasi (PCR) per COVID-19 sia come positività di un test dell’antigene, nonché come diagnosi confermata di COVID-19 nei registri di ricovero ospedalieri. Per definire trombosi arteriose fatali e non fatali [7], tromboembolismo venoso [TEV] [8] e altri eventi vascolari [9] sono stati usati algoritmi di fenotipizzazione riconosciuti a livello internazionale [10]. È stata opportunamente presa in considerazione anche la presenza di variabili potenzialmente confondenti come precedenti diagnosi di malattia, comorbidità e assunzione di farmaci. L’analisi si è svolta in periodi di tempo scanditi dopo la diagnosi di COVID-19 [11] e i partecipanti sono stati divisi per popolazione (inglese e gallesi) e organizzati in quattro fasce d’età (>40, 40-59, 60-79 e ≥ 80 anni)[12].

 

Fonti

Articolo originale: Association of COVID-19 With Major Arterial and Venous Thrombotic Diseases: A Population-Wide Cohort Study of 48 Million Adults in England and Wales. Volume 146, Issue 12, 20 September 2022; Pages 892-906.

[1] Loo J, Spittle DA, Newnham M. COVID-19, immunothrombosis and venous thromboembolism: biological mechanismsThorax. 2021;76:412–420.

[2] Vedi:

[3] Sono state anonimizzate per essere analizzate.

[4] Per richiedere l’accesso ai dati: bhfdsc@hdruk.ac.uk

[5] https://digital.nhs.uk/coronavirus/coronavirus-data-services-updates/trusted-research-environment-service-for-england

[6] Il giorno prima della disponibilità del vaccino anti COVID-19 nel Regno Unito.

[7] Ictus ischemico o altro tromboembolismo arterioso non-ischemico senza infarto miocardico.

[8] Embolia polmonare, trombosi venosa profonda degli arti inferiori [TVP], altra TVP, trombosi della vena porta o trombosi venosa intracranica.

[9] Attacco ischemico transitorio, ictus emorragico [emorragia intracerebrale o subaracnoidea], insufficienza cardiaca o angina.

[10] Basati soprattutto sulle indicazioni SNOMED-CT (Systematized Nomenclature of Medicine-Clinical Terms), Read code e ICD-10 (International Classification of Diseases, 10th Revision).

[11] Da 0 a 6 giorni e poi da 1 a 2, da 3 a 4, da 5 a 8, da 9 a 12, da 13 a 26 e da 27 a 49 settimane dalla diagnosi.

[12] I loro dati sono stati poi combinati utilizzando il metodo dell’inverso della varianza.

[13] È stato utilizzato il modello di Cox – tecnica di regressione multipla che consente l’analisi del rapporto tra un fatto di rischio e l’incidenza di un certo esisto clinico correggendo eventuali fattori di confondimento – con scala temporale. Per ragioni di efficienza computazionale, lo studio ha incluso tutte le persone con l’esito di interesse o positive alla diagnosi di COVID-19 e un sottoinsieme – pari al 10% – di altre persone, campionato casualmente. Le analisi statistiche si sono servite dell’Inverse probability weighting (IPW) – una tecnica usata per correggere problemi di selection bias – ed errori standard robusti in ragione del tipo di campionamento utilizzato.

[14] L’hazard ratio è il rapporto di rischio relativo calcolato secondo il modello di Cox. Esso rappresenta il rapporto tra i tassi di rischio di un evento (es. trombosi) in due condizioni che si vogliono sottoporre ad analisi (con e senza COVID-19). Se l’HR è superiore a 1 vuol dire che c’è un eccesso di rischio per la condizione considerata, sempre tenendo però conto del relativo intervallo di confidenza (IC). Ad esempio, se HR è 2 vuol dire che c’è un rischio di due volte superiore che l’evento si verifichi.